Studi legali e web marketing: novità del nuovo codice deontologico forense
Si è fatto un gran parlare, negli ultimi tempi e fra gli addetti ai lavori, delle modifiche al Codice deontologico forense, in particolare per ciò che concerne la pubblicità degli studi legali per via telematica.
Le nuove regole entreranno in vigore dal 16 dicembre prossimo, dopo una gestazione di parecchi mesi, visto che i lavori hanno avuto inizio lo scorso febbraio. Durante questo tempo, il Consiglio Nazionale Forense ha dibattuto a lungo sul ruolo dell’avvocato nella società dell’immagine e dell’informazione, ed è giunta a conclusioni non del tutto condivisibili, a parere di chi scrive.
Nessun riferimento, naturalmente, alle sacrosante prescrizioni sui doveri di riservatezza dell’avvocato, nonché alle regole di comportamento con i colleghi - troppo spesso superficialmente ignorate - o all’obbligo di aggiornamento periodico e formazione continua, a cui gli operatori del diritto sono ormai tenuti dal 2012.
La vera novità, ed anche il punctum dolens dei nuovi dettami, riguarda l’attività di promozione dello studio legale, che il professionista è tenuto a svolgere senza “dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale”. Sin qui nulla da dire, trattandosi di raccomandazioni legittime e doverose.
Il problema sorge quando, al nono comma dell’articolo 35, si precisa che “l’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso”.
In altre parole, dall’entrata in vigore del nuovo codice gli avvocati potranno dare pubblica risonanza alla propria attività solo ed esclusivamente attraverso il proprio sito internet, senza poter usufruire dei più comuni strumenti informativi come i banner commerciali né tantomeno dei social network, professionali (ad esempio: Linkedin) e non (Facebook su tutti).
Tutto ciò premesso, è il caso di osservare, in primo luogo, come tali novità normative entrino a gamba tesa su una pratica ormai largamente in uso, la pubblicità on line dell’avvocato, che utilizza i social alla stregua di una nuova forma di accreditamento delle proprie competenze (vedi Andrea Boscaro, Più rischiosa la reputazione online con il nuovo Codice deontologico).
Tale pratica, oltre ad essere molto più economica rispetto alla creazione e alla manutenzione di un sito internet, se messa in atto con stile e professionalità, rappresenta una straordinaria opportunità per il professionista di farsi conoscere ed apprezzare per le proprie competenze e qualità personali.
In questo modo, inoltre, l’avvocato, pubblicando periodicamente aggiornamenti curriculari e notizie sulla propria vita professionale, mette se stesso a disposizione dei potenziali clienti, che avranno così tutti gli strumenti per valutare se quello possa davvero essere il professionista che fa per loro.
In fin dei conti, se utilizzare i social network per pubblicizzare la propria attività professionale ha dei sicuri vantaggi, è per vero che nasconde anche dei rischi: l’avvocato, per così dire, ci mette la faccia, e si espone a critiche e commenti di qualunque genere.
La verità è che oggi all’avvocato è richiesto di essere un professionista più completo: già esperto di diritto, è chiamato a impratichirsi delle più comuni regole del web marketing e del personal branding, discipline che solo dieci anni fa probabilmente conoscevano in pochi.
Non fa più casa e tribunale l’avvocato 2.0, e non ha solo la sua città come potenziale bacino d’utenza. L’Europa, il Mondo nel migliore dei casi, è il destinatario a cui si rivolge, e per farlo ha bisogno degli strumenti adatti, che passano dal continuo aggiornamento, dall’apprendimento di una o più lingue straniere, ed anche dalla conoscenza dello strumento informatico.
La strada giusta potrebbe essere la regolamentazione dell’utilizzo di tale strumento, in ossequio alle fondamentali regole di onore e decoro, che è cosa ben diversa dal divieto tout court di alcune forme di comunicazione.
Non si dimentichi, d’altra parte, che la strada per la tanto decantata liberalizzazione delle professioni passa anche da una maggiore offerta di strumenti ed opportunità per il professionista che voglia farsi conoscere, nell’interesse proprio e dei propri potenziali clienti.
Negli anni ’10 del nuovo secolo c’è anche chi sceglie su internet il professionista a cui affidarsi. Ignorare questo dato equivale a non voler procedere di pari passo con il progresso tecnologico e sociale, un errore davvero imperdonabile.